La magnitudine misura la luminosità di un corpo celeste.
In questo articolo di #PilloleDiAstrofisica parlerò della Magnitudine apparente (m) così detta perché misura la luminosità di un corpo visto dalla Terra. Non tenendo conto della distanza a cui questo corpo si trova, non misura l’effettiva luminosità dell’oggetto ma solo quella che noi percepiamo.
Nell’antichità gli antichi greci diedero il valore di magnitudine unitaria alle stelle più luminose, magnitudine due a quelle luminose la metà e così via fino alla magnitudine sei che erano al limite della visibilità (a quei tempi, ovviamente, ad occhio nudo). Fu Tolomeo, nel suo trattato, l’Amalgesio, attorno al 150 D.C. a diffondere questo metodo empirico.
Solo nel 1856 l’astronomo inglese Pogson rimodulò questa unità di misura definendo un corpo di magnitudine uno come cento volte più luminoso di uno di magnitudine sei.
Pertanto, più un corpo ci appare luminoso, minore è il suo valore di magnitudine.
Mi sono sempre riferito a ‘corpi’ e non a ‘stelle’ in quanto anche i pianeti o i satelliti, nell’attuale definizione, vengono misurati in base alla loro luminosità riflessa (e non propria).
Non solo, le attuali misure ci hanno costretto a definire anche magnitudini negative, indici cioè di luminosità maggiori.
In questa scala Sirio (la stella per noi più brillante dopo il Sole) ha una magnitudine apparente di -1.45, la luna piena di circa -12 e il Sole di -26.8.
Mentre è rimasto il valore di magnitudine +6 come limite per gli oggetti visibili ad occhio nudo (ne possiamo contare circa 9.500 nel nostro cielo, in condizioni ottimali) il telescopio Hubble ha individuato stelle con magnitudine +30.
Nella prossima puntata parleremo della magnitudine assoluta e di come possiamo solo dedurla.